VERSO LA INCOSTITUZIONALITÀ’ DELLE PRESUNZIONI BANCARIE IN AMBITP TRIBUTARIO


E’ fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, D.P.R. n. 600 del 1973 nella parte in cui contempla che le presunzioni bancarie, in riferimento ai prelevamenti, operino anche nei confronti dei possessori di lavoro autonomo.

 

Investita in sede di gravame della pronuncia in merito alla legittimità di un accertamento ai fini delle imposte sui redditi, la Commissione tributaria regionale di Roma, Sez. XXIX, con l’Ord. n. 27 del 10 giugno 2013, ha sollevato d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, D.P.R. n. 600 del 1973 nel testo modificato per effetto della novella ex lege n. 311 del 2004. L’intervento del legislatore tributario aveva suscitato vasta eco in quanto veniva ad applicarsi ai soggetti esercenti attività di lavoro autonomo la facoltà di avvalersi delle indagini patrimoniali e finanziarie ordinariamente utilizzate per i contribuenti esercenti attività d’impresa (continua…)

Il collegio ritiene che siano violati differenti parametri costituzionali. In primo luogo, rileva una lesione dell’art. 3 Cost. nella misura in cui è venuto meno il rapporto, qualificato come di genus a species fra la prima parte della disposizione in parola e la seconda che circoscrive ai “ricavi” ovvero ai componenti positivi tipici del reddito d’impresa la ricostruzione induttiva attraverso l’estrapolazione dei dati bancari.

In secondo luogo, sussiste violazione dell’art. 24 Cost. in quanto l’introduzione di uno specifico comportamento e correlativo onere probatorio -operazione bancaria, identificazione del beneficiario- non consente ex post la precostituzione della prova storica di un determinato contegno; in altri termini, il contribuente non ha modo di dimostrare a posteriori la causale della movimentazione e l’utilizzo della somma, nel senso assolutorio richiesto dalla disposizione emendata.

Ad avviso del giudice rimettente, l’aspetto della giustificazione dell’operazione rinvenuta sul conto corrente comporta l’obbligatorietà di un comportamento successivo non compatibile né con le disposizioni dello statuto del contribuente, laddove si esclude l’ammissibilità di termini per gli adempimenti tributari, né con il combinato disposto degli evocati parametri costituzionali in punto di razionalità della novella.

In terzo luogo, la Corte territoriale ritiene leso anche il principio del giusto processo ex art. 111 Cost. laddove si considera che gli strumenti presuntivi in favore dell’Erario non consentono, in virtù degli effetti ex tunc della disciplina in questione, di prefigurare alcuna attività idonea ad assolvere compiutamente l’onere della prova contraria da parte del contribuente, con evidente rischio di rendere non percorribile l’iter giurisdizionale di esame della legittimità dell’esercizio della potestà tributaria.

Infine, il collegio non manca di sottolineare l’opinione giusta la quale, a mente del principio di uguaglianza e di capacità contributiva, non vi può essere perfetta identità fra il concetto di ricavo (reddito d’impresa) e quello di compenso (attività di lavoro autonomo). Il primo è infatti, a differenza del secondo, legato ad una metodologia legata alla formazione del bilancio ed a logiche che non sono sovrapponibili con i criteri di gestione economica dell’attività professionale.

Deve pertanto dedursi un’ulteriore censura di irrazionalità laddove si consideri che il lavoratore autonomo può sostenere costi legati all’esercizio dell’attività totalmente svincolati dal conseguimento di compensi secondo il principio di inerenza tipizzato dal TUIR in materia di reddito d’impresa.

Competerà dunque alla Corte delle leggi verificare la fondatezza delle questioni sollevate d’ufficio dal giudice d’appello in relazione all’applicazione retroattiva della disciplina di cui all’art. 32, D.P.R. n. 600 del 1973 tenendo presente che la Consulta ha rigettato la questione (Corte Cost., Ord. n. 318 del 23 novembre 2011) con richiamo al “(…) diritto vivente, secondo cui, invece, una identica presunzione era operante già prima del 1° gennaio 2005 ed era applicabile sia agli imprenditori che agli esercenti arti o professioni; (…) diritto vivente (che) ha sempre ritenuto che, nelle previgenti formulazioni dell’art. 32, D.P.R. n. 600 del 1973, il legislatore, nel prevedere che le movimentazioni finanziarie non giustificate e non contabilizzate integrano ‘ricavi’, ha inteso designare con tale termine non solo i redditi d’impresa, ma anche i ‘compensi’ professionali e di lavoratore autonomo”.

C.T.R. Lazio, Ord., 10 giugno 2013, n. 27